«Tanto tu torni sempre»: questa frase riferita alla Ines bambina di cui la mamma non si preoccupava delle ripetute scappatelle racconta una vita. Racconta, per tutti e tutte noi che l’abbiamo conosciuta, Ines Figini nel suo vissuto più vero. Scelta come titolo della sua bella intervista pubblicata nel 2012, la frase richiama ovviamente il suo ritorno dai lager, ma richiama anche immediatamente il suo modo leggero e intenso di raccontare, la sua istintiva capacità di “tornare sempre” al centro delle cose.
Per quelle parole, per quel gesto, per quella ribellione, Ines è – per tutte e tutti noi – l’immagine più viva della Resistenza civile, della gente comune che, ancor prima di aver maturato una coscienza politica, decide di stare nella lotta contro il fascismo e il nazismo.
Ma non è giusto limitare una lunga vita come quella di Ines a solo quel gesto e a quella sofferenza di mesi, fino alla liberazione dopo la fine della guerra, ulteriormente procrastinata dalla malattia contratta nelle baracche.
C’è un altro frammento nel racconto della vita di Ines, che ho sentito raccontare da lei tante volte e che mi è rimasto particolarmente impresso.
Quando, al ritorno dal lager e dalla malattia, ancora debilitata da quel lungo periodo tragico, percorre a piedi la salita di via Tommaso Grossi per ritornare finalmente a casa, senza che ancora abbia avuto la possibilità di annunciarsi, Ines ricorda che alcuni passanti, vedendola, si chiedono a mezza voce “Ma è la Ines o non è la Ines?”.
Ecco, Ines a un certo punto ha voluto tornare a “essere la Ines”, e ci ha gratificato – dopo non pochi anni di silenzio – delle sue esperienze e dei suoi ricordi (magari qualcuno incerto, magari qualche altro teso a gratificarci più di quanto non meritassimo).
E, da lì, abbiamo imparato a conoscere anche la Ines privata, quella che abita nella case della Comense (la fabbrica che non ha mai abbandonato), quella che percorre instancabilmente, col suo zainetto, le strade della città (negli ultimi tempi, prima del ricovero, anche con le stampelle, per aiutarsi), la Ines che si ricorda di noi, e che – alla faccia dei tanti suoi anni – sa chiederti la cosa giusta.
È anche questa la Ines che ricordiamo: è la stessa Ines che sa parlare ai ragazzi e alle ragazze, la stessa Ines che è presente tutti gli anni, finché ha potuto, al ricordo degli scioperi del marzo 1944, davanti a quella lapide su cui il suo nome per fortuna non c’è.
Crediamo però che il suo nome sia scritto, e non da oggi, sul «monumento» che il camerata Kesselring, e non solo lui, pretendeva – come ha scritto Piero Calamandrei – «da noi italiani».
PER APPROFONDIRE:
– video “Quel 25 aprile” (realizzato da Cgil – Camera del Lavoro territoriale e Sindacato Pensionati di Como nel 2005, in occasione del 60° anniversario della Liberazione), in cui si trova, tra le tante, anche una interviste a Ines Figini > https://www.youtube.com/watch?v=4YtAVrTzcSQ
– scheda da iCOMOgrafie, sul presente magazine, dedicata agli scioperi del 1944, in cui spicca la figura di Ines Figini: http://www.jsc15.it/icom-065-icomografie-lavoro-sciopero-come-resistenza
– volume I cancelli erano chiusi. La situazione nelle fabbriche e gli scioperi del 1944 a Como > http://www.nodolibrieditore.it/scheda-libro/roberta-cairoli-fabio-cani-lidia-martin/i-cancelli-erano-chiusi-9788871850856-156132.html
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